mercoledì 19 dicembre 2012

Caduta e ascesa degl'idoli mentre sto in coda alla cassa della libreria una settimana prima di Natale


Scommetto che qui la settimana scorsa non c’era un’anima e oggi straborda… si vede proprio che è quasi Natale. Tutta gente che non apre un libro che sia uno in vita sua, sicuro come la morte, e tutta quanta qui in fila a farsi impacchettare roba che non leggerebbero manco morti, perché regalare un libro fa fine e non impegna… tutti, a parte il signore con la barba e gli occhiali avanti a me. Quello che sembra Umberto Eco. Con una pila di volumi che non finisce più. Lui i libri li legge, non si limita a regalarli.  Chissà se odia anche lui questa folla di ignoranti, quanto li odio io… (non c’è niente come lo snobismo di noialtri assidui frequentatori per creare improvvise ed effimere complicità. Mi viene quasi la erre moscia a pensarci).

C’è solo lui, adesso, e poi finalmente tocca a me. “Quello grosso non lo impacchetti, per favore”. Impacchetti? Ma… allora… anche lui è qui solo per i regali, e, forse, “quello grosso” è solo fumo negli occhi della commessa, per far vedere che i libri li legge davvero. E magari “quello grosso” è il ricettario della Parodi…

“Vorrei anche la Guide du Routard della Germania” (le Routard! Sei dei nostri, dopotutto! Garçon, proseccò! E ora perché l’impiegato mi guarda male?) e la commessa solerte controlla nel computer… digita, scorri, leggi… niente da fare. “Routard… non lo vedo… forse il collega di sopra… il Touring può andare?” (Dille di no! L’ho capito ora il tuo gioco! Ti stai vendicando di questa folla in delirio shopaholico, monopolizzando la cassiera con tutte le richieste che ti vengono in mente. Idolo, idolo assoluto! Falli soffrire tutti, se lo meritano! Di’ alla commessa che il Touring a casa tua non lo prende nemmeno la portiera, pretendi senza indugio la tua Routard! Anche a costo di perdere il volo per Berlino!)

“Sì, di sopra c’è il collega, chieda a lui… tutt’al più lo ordiniamo”. “Ma il Routard o quell’altro?” “Quello con la copertina bianca…” (Sì, però adesso muoviti, cocco, che devo andare anche al bagno. Fuori e buio e io, come direbbe Julia Roberts “ho altro shopping da fare”… e pigliati ‘sto Touring, chessarà mai!)

Finalmente! Ha pagato e ora afferra i suoi pacchetti! Ma è troppo tardi. Ormai è diventato un tutt’uno con la commessa, il bancone e lo schermo del piccì. “Non ci sarebbe anche…?” e la ricerca continua.


Ti adoro. 

mercoledì 9 maggio 2012

venerdì 29 aprile 2011

La prima vittima della crisi di mezza età è il blockquote

"Io non sono matta. Sono solo di un umore schifoso da quarant'anni". (Shirley MacLaine in Fiori d'acciaio. Manco a farlo apposta, era su FilmTV uscito ieri e quando l'ho letto mi son detta: va diritto sul mio stato di Facebook domani!)
Non credevo che veramente mi avrebbe scosso fino a questo punto. Quarant'anni. Lo so che non è niente di speciale. Lo so che è una pietra miliare, uno spartiacque, una data importante. Lo so benissimo. E ci ho sempre scherzato sopra.
"Farai una festa? Sì, brodini e tisane per tutti!"
(Mariagrazia risponde a un'amica troppo curiosa)

Anche ieri sera ero tranquillissima, ho accettato, poco dopo la mezzanotte, i primi auguri virtuali contenta di riceverli, ora ho una bacheca piena zeppa di auguri e il primo pensiero è stato: Ma vaffanculo! non ho la forza di rispondere, di ringraziare, di cliccare su "mi piace". Perché non mi piace. Non tanto essere vecchia perché quello fino a che non ti ci senti non è un problema, e io non mi ci sento ancora. Il guaio è che a questo punto non ci sono più scappatoie, a quarant'anni non sei più una ragazza. Sei adulta, almeno formalmente. E io non mi ci sento. Non ancora, e probabilmente mai. E questo è un problema.

Così da stamattina sono davvero di un umore schifoso, il che fa molto adolescente incazzata col mondo. Quindi non posso essere io la quarantenne matura, vero? Vero?

AIUTO!!!!



venerdì 15 aprile 2011

Dov'è il mare


Io abito vicino al mare

o forse è il mare

che viene ad abitare

vicino a me. Mi porta in dono

gusci di montagne, vecchie vele

scolorite, sabbia fine,

stracci da sirena e in cambio prende

il mio respiro quando tutto tace.


Io abito vicino al mare

o forse soltanto a una finestra

che guarda su una strada

comune, con alberi e formiche.

E sciabordio di gatti.

(M.F.)



lunedì 9 agosto 2010

L'apprendista stregone


Quando ero l’apprendista stregone
mescolavo fiocchi d’aria nella tazza,
preparavo le mie schiere alla tempesta
aggiungendo sale e pepe quanto basta.

Quando ero l’apprendista apprendevo
ad annusare musica ed ascoltare fiori,
avevo nascondigli e pomeriggi,
troppe pergamene, vasi e canzoni.

Misurando il mio tempo nelle stelle,
vincevo il record mondiale d’apnea.
Poi finalmente cominciava il giorno:
potevo addormentarmi nella stoppa.

domenica 18 aprile 2010

Dove l'Autrice parla di cose che non conosce, partendo da un film che ricorda a malapena e conclude così, buttando lì un beffardo interrogativo


Dogville non è un film che ho amato particolarmente. L'ho visto solo una volta, in dvd, saltandone dei pezzi perché lo trovavo insostenibile e ne conservo una cognizione e un ricordo assolutamente superficiali, quindi dirò una montagna di cazzate. Sopportatele.

L'unica cosa che ricordo molto bene è il finale. La vendetta, la nemesi, la catarsi e la consapevolezza che laddove non c'è più l'innocenza non può esistere il perdono. Nemmeno per i bambini, giacché anche loro sono macchiati della stessa colpa, la stessa crudeltà degli adulti. Ed è qui che io mi arrovello e continuo invano a cercare un perché. Ed è qui che "mi sovvien l'eterno/e le morte stagioni e la presente/e viva e'l suon di lei" e no, non ci naufrago, in questo mare, ma mi limito a galleggiare, bevendo ogni tanto. Poi mi ritrovo a pensare che noi facciamo di tutto per preservare i bambini e la loro innocenza, salvo poi gettarli nelle fauci del mondo, ad imparare tutto quanto innocente non è.

E penso ai bambini di quella scuola dove hanno allontanato dalla mensa quelli le cui famiglie non avevano pagato, e la scena che mi figuro dolcissima della condivisione. Poi penso che quei bambini che hanno diviso il loro pasto con quelli che non potevano permetterselo sono i figli di quei genitori che qualche giorno dopo hanno protestato contro il "misterioso" benefattore che ha saldato il debito e che magari, a casa, sono stati rimproverati per quel raptus di generosità. Quindi ho immaginato (ma la mia immaginazione, si sa, galoppa sfrenata e solo la paranoia sa tenerle dietro) quegli stessi bambini all'indomani, frustrati, delusi, amareggiati, prendersela con quelli che avevano aiutato solo il giorno prima. Non ricordo il nome della cittadina, in questo momento, ma se fosse in America sarebbe Dogville. Meno male che siamo in Italia, giusto?

Giusto?

martedì 13 aprile 2010

Quasi una fotografa





La prima volta che ho preso una macchina fotografica in mano avevo otto anni. La macchina era poco più di un giocattolo, ma faceva foto vere, seppure di forma quadrata. Aveva un flash, che si ruppe quasi subito, e una doppia esposizione che mi creava più dubbi che altro. Comunque era una macchina fotografica quasi vera, e, soprattutto, era mia. Da allora non ci fu gita, scampagnata o passeggiata sulle Mura che non venisse da me immortalata.

I primi rudimenti che mi furono insegnati, in famiglia, contribuirono a confondermi ancora di più le idee. Tenere ferma la macchina mi pareva impossibile. Appoggiarmela al petto per impedirle di muoversi mi aiutò un poco, e, beh… se non si dà troppa importanza a cosa si sta fotografando può essere quasi una soluzione. Anche sulla scelta dei soggetti non avevo le idee molto chiare, visto che mi ostinavo a riprendere muri, mari e alberi invece che persone. Che ricordi avrei mai potuto trattenere di quelle gite, se non fotografavo la gente?

Nei dodici anni che seguirono collezionai scatole su scatole di orribili scatti mossi, sovraesposti, nebulosi: quadrati di caos di cui mi piacerebbe dire che ho smesso di vergognarmi. Mi era ormai ovvio che stavo sbagliando qualcosa, ma cosa? la risposta mi sfuggiva (e ancora oggi, se mi capita di intravederla, cambia strada apposta).

Nel frattempo la scuola era finita, le gite anche, e la noia regnava sovrana. Di quegli anni ho pochissime fotografie, e, soprattutto, non mi divertivo più molto a farle, e ancor meno ne ero soddisfatta.

Fu grazie alla rete che decisi di passare al digitale, per condividere le immagini con i miei nuovi amici virtuali. Ma lo stesso non mi divertivo, e se mi divertivo, mi dimenticavo completamente di fare foto. Però quella macchinetta digitale acquistata d’impulso circa tre anni fa fu una specie di segno del destino. Pochi mesi dopo, una psicologa che mi seguiva mi consigliò, sapendo che mi piaceva scrivere e avevo quindi un lato “creativo”, di provare a entrare nel gruppo fotografico della Salute Mentale.

Alla mia prima uscita con il gruppo, non avevo la mia macchinetta. Avevo traslocato da poco ed era ancora impacchettata in qualche scatolone chissà dove. Me ne diedero una di quelle in dotazione alla Asl, tra le più semplici, insieme con qualche buon consiglio. Mi si spalancò un mondo. Un mondo fatto di colori, fiori, insetti, e tante altre minuzie che fino ad allora non avevo degnato di uno sguardo.

Inutile dire che, una volta a casa, mi precipitai a spacchettare ogni scatola che mi trovavo davanti, fino a che la mia macchinetta ricomparve.

Da allora ho scattato quasi senza soluzione di continuità per due anni almeno, e intanto imparavo qualche rudimento di fotoritocco, e a montare le immagini secondo le suggestioni che esse e i luoghi dove le avevo catturate mi ispiravano.

Da tutto questo ho imparato, se non ad essere una brava fotografa, che la vita ci porta per strane strade in strani luoghi, verso mete che mai ci saremmo immaginati.